“I Am the President”, una precisa affermazione di ruolo e di identità sociale per sette dipinti che ritraggono al “negativo” i volti rispettivamente di Barack Obama, Vladimir Putin, la Regina Elisabetta II d’Inghilterra, Papa Benedetto XVI (unica figura intera), Silvio Berlusconi, Angela Merkel, Benjamin Netanyahu.
Nell’uso del negativo, ovvero nel ribaltamento dell’immagine, l’artista scopre una quarta dimensione della figura: una identità introspettiva, un’immagine interna diversa dallo schema del Sé corporeo, volta a cogliere “l’altra faccia” del ritratto, il suo “prossimo sé” raggiungibile in una sorta di istantanea pittorica.
Sette opere che custodiscono il gesto dell’artista, il quale rimarrà anonimo per tutta la durata dell’evento.
Scrive in proposito Marina Miraglia nel testo critico che accompagna la mostra: “Nel nostro caso, c’è, nella scelta dell’anonimato, la volontà di concentrare l’attenzione del riguardante sulle strategie adottate e, coinvolgendolo in esse, di riflettere, personalmente e con lui, sul corso attuale dell’arte che sempre più comunica attraverso le varie forme dell’âpres di un tempo: la citazione, la semplice ‘traduzione’ da un linguaggio iconico a un altro, il rendering, lo scanning, la contaminazione.
I pittori fanno infatti spesso leva sulla possibilità dell’arte di riattualizzare perennemente il significato e le valenze delle immagini di un passato più o meno recente e indipendentemente dal fatto che siano autoriali o meno; diventa centrale lo sguardo e l’interpretazione del presente e l’implicito aiuto della fotografia che, per statuto, racchiude in sé il presente dello scatto e dell’impronta – l‘hic et nunc di Benjamin – il passato dell’è stato di Barthes, il futuro degli spazi discorsivi di Krauss. […]”
Aggiunge Daina Maja Titonel, curatrice della mostra: “Sono idealmente alla ricerca di un rapporto con l’opera che risenta il meno possibile di condizionamenti esterni, quali il ‘nome’ dell’artista o le opportunità di mercato. Con questo spirito ho proposto all’autore di celare il suo nome al pubblico, liberando l’opera dalla firma, per restituirle l’attualità e la centralità nel rapporto con lo spettatore“.
Selezione opere
Gallery
Testo critico
La scelta dell'anonimato
di Marina Miraglia
Secondo una prassi che data a partire dalle origini della fotografia, la pittura ha da sempre intrattenuto con la propria sorella tecnologica un legame più o meno stretto, sempre comunque complesso e variegato, estremamente interessante dal punto di vista epistemologico.
Le accezioni contemporanee e postmoderne di tale rapporto possono essere individuate, per alcune componenti, nella Pop Art, soprattutto per l’uso che i pittori cominciarono a fare di immagini fotografiche, spesso anonime o di non eccelsa qualità, pubblicate dalla stampa periodica, riferite alla cronaca e alla pubblicità di prodotti industriali di marche arcinote; il tutto finalizzato alla ‘massificazione’ pittorica di personaggi divenuti icone e simboli particolarmente significativi e ricorrenti nella vita di allora.
Già quest’aspetto è riconoscibile, almeno per alcune variabili, nel lavoro che Daina Maja Titonel ci propone, entrando nel vivo di una delle caratteristiche più eclatanti del sistema dell’arte odierna che dall’avvento del digitale in poi – ossia a partire dagli anni ottanta del Novecento – ha riconosciuto la fotografia come tecnica artistica che, al di fuori da una scala gerarchica di valutazione e di valori, è ormai da tutti recepita come possibile veicolo dell’espressione.
L’artista cui è dedicata la mostra e che ha accettato di tacere il proprio nome, non solo ricorre infatti con libera spregiudicatezza alle iconografie fotografiche pescate da internet, ma soprattutto si impadronisce, con un’operazione concettuale e critica di grande fascino, del linguaggio della fotografia, sfruttandone soprattutto l’inversione bianco/nero del negativo e l’ingrandimento spinto, provocatorio e simbolico, altamente trasfigurante dei ritratti raffiguranti Merkel, Netanyahu, Benedetto XVI, Putin, Berlusconi, Elisabetta II d’Inghilterra e Obama.
Un altro aspetto è costituito poi, su un versante diametralmente opposto, dall’analisi esegetica degli studi più recenti sulla fotografia, studi che hanno sottolineato l’importanza antropologica e sociale della figura dell’amatore e l’anonimato degli album di famiglia.
Nel nostro caso, c’è, nella scelta dell’anonimato, la volontà di concentrare l’attenzione del riguardante sulle strategie adottate e, coinvolgendolo in esse, di riflettere, personalmente e con lui, sul corso attuale dell’arte che sempre più comunica attraverso le varie forme dell’âpres di un tempo: la citazione, la semplice ‘traduzione’ da un linguaggio iconico a un altro, il rendering, lo scanning, la contaminazione.
I pittori fanno infatti spesso leva sulla possibilità dell’arte di riattualizzare perennemente il significato e le valenze delle immagini di un passato più o meno recente e indipendentemente dal fatto che siano autoriali o meno; diventa centrale lo sguardo e l’interpretazione del presente e l’implicito aiuto della fotografia che, per statuto, racchiude in sé il presente dello scatto e dell’impronta – l’hic et nunc di Benjamin – il passato dell’è stato di Barthes, il futuro degli spazi discorsivi di Krauss.
Rispetto a i più precoci prelievi dalla realtà – penso a Duchamp – il nostro autore, non si limita però al semplice prelievo concettuale e materiale, ritorna alla raffigurazione e ai i suoi valori trasfiguranti.
Pur adottando alcuni segmenti narrativi della fotografia – l’ingrandimento e l’uso del negativo – egli, infatti, sovrappone ad essi, come ineliminabile seconda pelle, la qualità estetica della forma pittorica che, gioco forza, lo sottrae all’anonimato.
L’isolamento nello spazio delle figure dipinte con una pennellata piatta, pur rinviando esplicitamente al prelievo fotografico per il realismo rappresentativo, opera, per la mancanza della prospettiva, un allontanamento spazio temporale di straordinaria forza emotiva che cattura lo spectator, che siamo noi, su una medesima lunghezza d’onda rispetto alle intenzioni di chi ha creato l’immagine.
La dialettica politica e ideologica dei personaggi ritratti e trasformati in icone del nostro tempo, ma anche di tutte le epoche storiche, si avvale degli esiti formali dei diversi supporti adoperati – legno, tela, carta – dei formati non ripetitivi dei dipinti e dell’opzione a ritrarre il Papa Benedetto, a figura quasi intera, mentre per tutti gli altri è scelto il solo volto o quasi.
Un modo per contrapporre al gesto classico e benedicente del pontefice, atemporale perché sempre uguale nel tempo, la descrizione minuta e particolareggiata dei tratti fisionomici, ma anche caratteriali e psicologici di tutti gli altri, più legati alla cronaca, almeno alla cronaca di questo inizio di millennio.