In mostra l’ultima serie di opere della pittrice Margareth Dorigatti incentrata sui pianeti e sulle loro infinite corrispondenze con le divinità e il mito, con i giorni della settimana e i colori, e ancora i metalli cui ciascun pianeta viene ricondotto seguendo l’antico schema delle attribuzioni: Luna/Argento (lunedì), Marte/Ferro (martedì), Mercurio/Mercurio (mercoledì), Giove/Zinco (giovedì), Venere/Rame (venerdì), Saturno/ Piombo (sabato), Sole/Oro (domenica).
Osserva Karin Dalla Torre: “Ci immergiamo in una cucina alchemica, dove i metalli liquidi ribollono in grandi crogiuoli, mettendo le loro proprietà scientifiche ed estetiche al servizio delle singole divinità. Come per gioco, talvolta in superficie si specchiano le simbologie alchemiche del sistema periodico. […] Non si tratta di quadri da osservare senza conseguenze. A prescindere dal loro formato sono opere tanto intense da imporsi sul vissuto interiore, finanche nei sogni.”
“In questa serie dedicata ai pianeti“, scrive Flavia Pesci nel catalogo che accompagna la mostra, “prende corpo un suggestivo universo interiore, una sorta di viaggio cosmologico dove la simbologia che lega pianeti e divinità, con le loro implicate storie mitiche, pervade i dipinti di rimandi per affinità e analogie con colori specifici, giorni della settimana definiti nella loro peculiarità semantica e trasversale alle varie lingue, vibrazioni e sonorità timbriche, anche sulla scorta dell’insegnamento di J. Wolfgang Goethe, sulla cui celebre teoria dei colori si sono a lungo imperniate le esplorazioni di Margareth Dorigatti. […] Per ogni pianeta, per ogni divinità, si potrebbe dire persino per ogni colore, ci troviamo di fronte a una sorta di ritratto, in cui Margareth ha riversato il proprio sentimento di esso e condensato il proprio rapporto personale, rivelando a noi e a se stessa la chiave interpretativa che a ciascuno soggiace. Così, in un racconto mai banale, la forza assoluta di Marte, la seducente bellezza di Venere, la complessità conflittuale di Saturno, la misteriosa delicatezza lunare o la divina superiorità di Giove ci vengono manifestati per colori e forme ad ognuno peculiari: attributi complementari e analogici che caricano di tensione e di sorprendente energia il dipinto eppure, al tempo stesso, gli restituiscono magicamente una sottile valenza ironica, che rende il gioco sempre acuto e intelligente.”
“Inutile cercare significati, simboli, metafore. La parola è impotente e inopportuna mentre la pittura scorre raccontando di sé al mondo.” – Lidia Reghini di Pontremoli.
Selezione opere
Gallery
Testo critico
Argento liquido
di Karin Dalla Torre
La pittura di Margareth Dorigatti è ciclica, come è ciclico il corso dei sette pianeti visibili dalla terra durante i sette giorni della settimana che tracciano la loro via in questa nuova serie di dipinti. Come ogni ciclo precedente anche questo trae ispirazione dall’imponderabile crogiuolo ROMA, in cui si mescolano e ribollono mitologia, religioni, storia, scienza e molti altri ingredienti.
Questa città non è soltanto il luogo dove la pittrice lavora e vive, è anche la cassa di risonanza per un fiume pittorico, che con ogni serie cresce in profondità.
Le figure femminili arcaiche e gli eroi mitologici, più avanti le tre Sante incoronate – Margherita, Barbara, Caterina – e i loro archetipi sono vecchie conoscenze all’interno dell’opera della pittrice, che negli ultimi anni si è dedicata alle inesplorate profondità dell’anima-lago e al crepuscolare mondo del Re degli elfi e alla Luna, silenziosa compagna della Notte.
Goethe è presente nei quadri di Margareth Dorigatti non solo con la sua inquietante ballata, ma anche nel ciclo dedicato allo scambio epistolare con Charlotte von Stein. Malato d’amore, il poeta dal passo lupesco (“Wolf-Gang”) ulula alla luna.
Anche nei nuovi dipinti vibra l’energia di Goethe, cosa che a Roma non meraviglia. Tuttavia, in questo caso il riferimento è di natura scientifico, incentrato sulla Farbenlehre, cui la pittrice si dedica nell’ambito della sua docenza presso l’Accademia di Belle Arti.
Ciò che nei dipinti dei Laghi e della Luna inizia con una chiara “messa a terra” della pittura, che si serve sempre di più di elementi naturali, nei quadri dei pianeti diventa un tuffo negli elementi del mondo materiale, che servono a far risplendere gli archetipi delle Dee e degli Dei su questi potenti quadri nell’antichissimo ordine dell’alchimia.
Il gruppo di dipinti riflette i metalli planetari seguendo l’antico schema delle attribuzioni. Luna, Marte, Mercurio, Sole, Giove, Venere, Saturno sono i sette Pianeti/Dei che influenzano il destino e si rispecchiano nei metalli, che fin dall’Antichità gli sono stati attribuiti: Luna/Argento, Venere/Rame, Marte/Ferro, Mercurio/Mercurio, Giove/Zinco, Saturno/Piombo, Sole/Oro.
Per quanto precisa, però, questa struttura attributiva non ci può preparare alla potenza elementare dei dipinti. Ci immergiamo in una cucina alchemica, dove i metalli liquidi ribollono in grandi crogiuoli, mettendo le loro proprietà scientifiche ed estetiche al servizio delle singole divinità. Come per gioco, talvolta in superficie si specchiano le simbologie alchemiche del sistema periodico. L’inquietudine maggiore è emanata da Mercurio, il Dio dei mercanti e dei ladri. Simbolo di ciò che sfugge, al centro della settimana nasconde sotto un velo di resina l’argento vivo, liquido e non innocuo. Anche gli altri metalli si presentano con forza, sacrificando la loro essenza agli Dei. Il ferro dedica la propria forza a Marte, che ci invade con temperamento cangiante rosso-fuoco: rabbia rosso-sangue, ma anche aggressione controllata. Il giorno del Sole e quello della Luna vivono la loro contrapposizione stellare ed emanano la loro luce aurea e argentea, che in passaggi sfumati scorrono attraverso i giorni. Un cullarsi morbido tra crescere e conservare. Particolarmente affascinante è la Venere ramata, la nascita di una Dea dalla schiuma e il suo passaggio attraverso tutti gli stadi dell’Amore, dal tenue soffio di Zefiro fino alla potenza piena del verde-rame della vita. Venere è affiancata da Giove e da Saturno con i loro toni freddi del piombo e dello zinco.
Non si tratta di quadri da osservare senza conseguenze. A prescindere dal loro formato – e sembra quasi che i piccoli siano i più forti – sono opere tanto intense da imporsi sul vissuto interiore, finanche nei sogni.
Sono quadri potenti, ognuno capace da solo a riempire una stanza. Quando non sono stati concepiti come trittici o dittici, diventa una gara dei singoli quadri nel campo della pittura, che non ha più bisogno di ancorarsi attraverso tracce figurative e si tramuta in un regno magico-catartico, che raggiunge il nostro intimo.
Il gesto pittorico si delizia nel calore dei metalli, esponendosi senza timore agli elementi e alla loro essenza. A vigilare con eterna saggezza sul fuoco creativo è la grande Dea nella sua Trinità: il potente trittico Nigredo-Albedo-Rubedo.
Margareth Dorigatti. DEI Colori/Giorni
di Flavia Pesci
Il mio primo incontro con le opere di Margareth Dorigatti è giunto, in gran parte inatteso, visitando la mostra “Luna/Mond” (2016), ospitata nelle sale di questa stessa galleria. Già allora si trattava di un motivo “cosmico” in senso lato, trattato cioè non soltanto come meditazione estetica e resa visuale di un affascinante satellite, ma con implicazioni e rimandi a emozioni e sentimenti ancestrali, comuni a ciascuno di noi. E come ciascuno di noi, di rimando, assorbe e riceve a proprio modo sensazioni e suggestioni, così per me osservare quei dipinti è stata allora un’esperienza emozionante e intensa, quasi ipnotica.
Ancora oggi, nelle opere dedicate a questo nuovo ciclo – incentrato su pianeti e sulle loro infinite corrispondenze con le divinità e il mito, con i giorni e i colori, o con i metalli cui ciascun pianeta viene ricondotto – ritrovo intatta questa intensità e complessità di significati, che ci vengono svelati strato dopo strato, livello dopo livello. Una molteplicità di colori, visibili come in trasparenza e con effetti evocativi, anche in virtù di un’intrinseca qualità luminosa della superficie pittorica che crea rimandi, vibrazioni e risonanze, e si misura sul campo di forze della tela dipinta, a volte in accordo coerente, a volte in dialettica opposizione. Nel prolungarsi magnetico della nostra percezione, i dipinti ci appaiono allora ricchi di valenze simboliche, personali e primordiali insieme, infinitamente stimolanti nella loro pura bellezza ma alla fine, di fatto, inalterati nel loro nucleo più profondo e misterioso, mai completamente penetrabile.
In un percorso artistico impegnato preferibilmente sul versante figurativo, con esplorazioni seriali concentratesi di volta in volta su specifici soggetti e in ambiti diversi (dalla scenografia alla grande pittura murale, dalla fotografia alla musica e alla letteratura), il tema dei pianeti, che appare come la naturale prosecuzione di quello lunare, ha ora condotto Margareth a esprimersi in un linguaggio ancor più propriamente astratto, sempre meditato con la cura e la profondità che le sono proprie, epilogo cioè di un lungo, rigoroso processo di studio e approfondimento. Questo substrato di meditazione e ricerca, che ha un carattere quasi sapienziale, indispensabile per poter procedere nel suo lavoro, costituisce il bagaglio di partenza che viene poi nella fase creativa puntualmente sopraffatto da un’energia istintuale, in cui l’artista si abbandona alla forza di un’ispirazione che in parte la travolge, ma che riesce però sempre, miracolosamente, a calibrare in esiti armoniosi di lirismo poetico, potenza gestuale, intensità cromatica, resa materica, sentimento della forma.
In questa serie dedicata ai pianeti prende corpo infatti un suggestivo universo interiore, una sorta di viaggio cosmologico dove la simbologia che lega pianeti e divinità, con le loro implicate storie mitiche, pervade i dipinti di rimandi per affinità e analogie con colori specifici, giorni della settimana definiti nella loro peculiarità semantica e trasversale alle varie lingue, vibrazioni e sonorità timbriche, anche sulla scorta dell’insegnamento di J. Wolfgang Goethe, sulla cui celebre teoria dei colori si sono a lungo imperniate le esplorazioni di Margareth Dorigatti. Una ricerca intima, questa, decisamente personale, con risultati intrisi di un marcato carattere individuale che rispecchia nelle sue modalità – come è stato d altri notato – quelle stesse del processo alchemico, incessante e utopistico, mirato a distillare l’essenza più pura della materia.
Una materia che spesso emerge con incisività dai dipinti in concrezioni sabbiose, pigmenti e sgocciolature di colore che qui rimandano a tutta la pregnante fisicità dell’universo, in cui i pianeti s’impongono come presenze vive che dialogano con l’artista – e con noi – in uno scambio reso più efficace da questo substrato “fisico” dell’opera d’arte nella sua matericità.
Per ogni pianeta, per ogni divinità, si potrebbe dire persino per ogni colore, ci troviamo di fronte a una sorta di ritratto, in cui Margareth ha riversato il proprio sentimento di esso e condensato il proprio rapporto personale, rivelando a noi e a se stessa la chiave interpretativa che a ciascuno soggiace. Così, in un racconto mai banale, la forza assoluta di Marte, la seducente bellezza di Venere, la complessità conflittuale di Saturno, la misteriosa delicatezza lunare o la divina superiorità di Giove ci vengono manifestati per colori e forme ad ognuno peculiari: attributi complementari e analogici che caricano di tensione e di sorprendente energia il dipinto eppure, al tempo stesso, gli restituiscono magicamente una sottile valenza ironica, che rende il gioco sempre acuto e intelligente.
Sulla mostra "DEI Colori / Giorni"
di Lidia Reghini di Pontremoli
Un inverno radioso proietta come contrasto riflessi argentei e plumbei. Forme emergono alla superficie, aspirano a divenire terra, ceneri, lapilli. Si addensano creando masse umorali silenti e evanescenti, metafore di divinità trascorse a stento trattengono numeri, lettere gettati nel vuoto infinito.
Ectoplasmi fluttuano alla deriva di sommersi approdi, un vento apparentemente immobile ne sconquassa le sembianze. Come scossa da un’invisibile risacca, la tela si ritrae per poi distendersi lasciando scorgere nel controvento dello sguardo bagliori cangianti, ipotetiche immagini.
Ag Lunae Dies urla al mondo la sua essenza siderea assorbendo in sé le suggestioni di una Mater matuta, divinità del mattino o dell’Aurora, riflesso di bianca conchiglia immersa nel fragore di un buio ancestrale, regressus ad infinitum. Epifania del principio, lunedì, stratificazioni complesse di luce si infrangono contro il muro dell’opacità. La materia non è una ma infinita parte del tutto ricreando lo stato di grazia della pittura immersa in un sistema di reciproche assonanze sonore.
Hermes mercuriale, metafora dell’inatteso è essenza mitologica viva e pulsante, sostanza organica che trattiene ed emana gli umori della vita terrena e celestiale.
Marte/Ares presenza assoluta, ferrosa e incandescente, dall’odore forte dell’energia del fabbro e del sesso, trattiene sul corpo i segni di una battaglia, violenza d’amore. Immobile, all’improvviso scatta in avanti infrangendo il confine incerto del notturno dove ogni delitto, anche il più atroce potrà compiersi; dove il buio diviene luogo di certezza e racconto, evocazione e invocazione mitologica.
Le apparizioni si intrecciano sul confine dell’improbabilità, si inseguono e si nascondono all’interno di una superficie che è strato disomogeneo e disambiguo, utero notturno che tutto accoglie e modifica, appena rischiarato da lampi sull’acqua.
Apparizioni incorporee dissimulate allo sguardo sul profilo di un’alba apollinea. Dal suo scanno Giove, il tuono e il fulmine di Thor, è presenza assoluta scardinando le direzioni usuali della visione, rivendica la propria autorità guardando l’osservatore; dall’inerzia scatta veloce in avanti, verso l’esterno, esaudendo il desiderio di divenire soggetto, parte attiva dell’esistente, consapevole complice di un mondo alla deriva.
L’alchimia serve a separare il vero dal falso. L’impervio cammino dello sguardo si smarrisce in un piombo cupo e saturnino. Melancholia di una vita perduta, è l’estremo approdo alchemico della Magnum Opus, il passaggio misterico di Nigredo, l’oscurità della terra e della notte; Albedo, la luminescenza dell’acqua immobile e Rubedo, l’osmosi della fiamma che divora e ricrea.
Un inverno radioso. L’aria è rarefatta, il respiro pesante, alla ricerca di sé l’ombra del dubbio stempera ogni tensione lasciando emergere tra le pieghe di un colore/non colore le possibili apparizioni della pittura. Inutile cercare significati, simboli, metafore. La parola è impotente e inopportuna mentre la pittura scorre raccontando di sé al mondo.