17 Maggio — 30 Giugno 2018
testi critici di Claudio Zambianchi e Rosa Pierno

In mostra si presenta “Thàlassa | Ouranòs”, la recente serie di dittici (olio e a carboncino su tavola) della pittrice greca Georgina Spengler.

Il punto di partenza di questi lavori è una macchia di colore ottenuta sovrapponendo tra di loro due tavole di compensato non preparate, una delle quali inizialmente cosparsa con uno strato di pigmento ad olio molto diluito.

Osserva Claudio Zambianchi nel testo critico che accompagna la mostra: “Il colore, liquido e fluido, intride il legno e ne rileva le venature, un po’ com’era successo nella Histoire naturelle di Max Ernst, ma con modalità tecniche diverse (lì si trattava di frottage). La macchia fa affiorare il disegno segreto del legno, la sua complessa epidermide che altrimenti rimarrebbe in buona parte nascosta. Il raddoppiamento speculare dell’immagine, come nelle macchie di Rorschach, aggiunge un ulteriore elemento di sollecitazione visiva e immaginativa alla mente dell’artista.

Il processo preparatorio […] serve a liberare l’immaginazione, che ora può proiettare sulla macchia un mondo a un tempo aereo e abissale, fatto di cieli e profondità marine, di Ouranòs e di Thàlassa; e, se la parte celeste si popola di nuvole dalle forme fantastiche, nella parte acquatica dei dipinti appaiono gorghi e creature del profondo, queste ultime legate spesso più alla mitologia che alla zoologia.

Selezione opere

Georgina Spengler
Maia ed Elettra, 2017-2018
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Georgina Spengler
Le Moire, 2017
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Georgina Spengler
Thalassa e Uranos, 2017-2018
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Georgina Spengler
Aglaia, 2017
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Georgina Spengler
Alcyone, 2018
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Georgina Spengler
Thalia, 2017
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Georgina Spengler
Euryale, 2017
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Georgina Spengler
Shtenno, 2018
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Georgina Spengler
Le Pleiadi, 2018
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Georgina Spengler
Kharites, 2018
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Georgina Spengler
Urania e Calliope, 2018
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Georgina Spengler
Le Graiae, 2017
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Testo critico

Thàlassa-Ouranòs

di Claudio Zambianchi

L’idea del ciclo di lavori di Georgina Spengler esposti in questa mostra non è, in fondo, molto diversa da quella espressa in una nota del Trattato della pittura di Leonardo da Vinci: “Non resterò di mettere fra questi precetti una nuova invenzione di speculazione, la quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno è di grande utilità a destare l’ingegno a varie invenzioni. E questa è se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o in pietre di varî misti. Se avrai a invenzionare qualche sito, potrai lí vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure grandi, valli e colli in diversi modi”.

Le macchie casuali di colore sui muri scrostati, la tessitura delle rocce o di altri elementi della natura, secondo Leonardo, nell’immaginazione del pittore suscitano figure: le lasciano intuire senza esprimerle compiutamente. Sta all’artista catturarle e poi, pazientemente, farle uscire dall’indistinto. Un analogo processo proiettivo può verificarsi con le nuvole, sulle quali Georgina Spengler lavora già da tempo, sviluppandone più che la dimensione naturalistica, quella immaginaria. Nella serie di opere raccolte in mostra l’artista assume come punto di partenza una macchia creata spargendo colore a olio molto diluito su una tavola di compensato non preparata; prima che il colore sia totalmente assorbito dal legno, Georgina sovrappone alla prima una seconda tavola, così da ottenere su di essa un’immagine speculare. Il colore, liquido e fluido, intride il legno e ne rileva le venature, un po’ com’era successo nella Histoire naturelle di Max Ernst, ma con modalità tecniche diverse (lì si trattava di frottage). La macchia fa affiorare il disegno segreto del legno, la sua complessa epidermide che altrimenti rimarrebbe in buona parte nascosta. Il raddoppiamento speculare dell’immagine, come nelle macchie di Rorschach, aggiunge un ulteriore elemento di sollecitazione visiva e immaginativa alla mente dell’artista.

Il processo preparatorio appena descritto serve a liberare l’immaginazione, che ora può proiettare sulla macchia un mondo a un tempo aereo e abissale, fatto di cieli e profondità marine, di Ouranòs e di Thálassa; e, se la parte celeste si popola di nuvole dalle forme fantastiche, nella parte acquatica dei dipinti appaiono gorghi e creature del profondo, queste ultime legate spesso più alla mitologia che alla zoologia.

L’immagine ha bisogno di un certo tempo di osservazione per emergere, come accade nei dipinti di Pierre Bonnard, tanto amati da Georgina Spengler. Guardandoli a lungo, dopo la prima sensazione di avere di fronte un quadro astratto costruito per dense campiture di colore stese da una pennellata sensibile e vibrante, ne succede un’altra, e un mondo di oggetti e di figure pian piano affiora e si manifesta agli occhi e alla coscienza.

"Thalassa/Uranos", mostra di Georgina Spengler

di Rosa Pierno

Unire l’impossibile non è soltanto una contraddizione, ma anche un’operazione fattuale in Georgina Spengler, in quanto realizza entrambe operando con materiali visivi tratti dalla nostra tradizione iconografica.

Le tavole lignee trattate a olio e a carboncino, tutti dittici, anziché avere la parte interna utilizzata come superficie per scrivere, presenta la fusione di frammenti figurali al fine di costruire un insolubile enigma. Le immagini sono ottenute facendo combaciare le tavole, dapprima cosparse parzialmente con uno strato di pigmento ad olio, per ottenere la medesima doppiatura presente nel test di Rorschach, il quale cerca diretti riferimenti nel nostro inconscio. In questo globo terrestre/acquatico, che sembra rappresentare rispettivamente le loro profondità, nuotano abissali mostri da girone dantesco, tartarughe o delfini con le zampe.

La mostra allude a questa specchiatura non collimante, a questa incongrua doppiezza tra ciò che non combacia e da cui i significati emergenti sono a loro volta antiche rappresentazioni, prelevate di sana pianta dalle memorie di antiche carte nautiche, quasi ricordi ancestrali.

La negazione della profondità, o la sua visualizzazione tutta superficiale, qualsiasi essa sia – terrestre o umana – è il paradosso a cui facevamo cenno, con il conseguente invito a pencolare sulla reale quanto illusoria linea di separazione che divide il noto dall’ignoto, l’io dal cosmo, il visto dall’immaginato.

Artisti esposti

Georgina Spengler
 

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