“A vederlo così attaccato all’animale, che andava a mano a mano mutando e crescendo, mentre l’uomo, senza mutare contegno, pareva assottigliarsi e svuotarsi di tutto il suo fiato, sembrava di assistere a una strana metamorfosi, dove l’uomo si versasse, a poco a poco, nella bestia.”
Le parole di Carlo Levi (1902-1975), tratte da “Cristo si è fermato a Eboli”, si prestano bene all’introduzione dell’interregno antropomorfo in cui si collocano le venticinque inedite sculture (ceramica e terracotta) di Piga.
In tempi di ibridismi genetici e antropologici, di intelligenze artificiali e naturali, quell’interregno fra umanità e animalità è metaforica lente di ingrandimento sui cambiamenti e le destabilizzazioni – sociali e individuali – a cui l’uomo è costretto da una inarrestabile spinta all’adattamento, tra rivoluzioni quotidiane e epocali che lo portano ad uno stato di perenne incompiutezza, ad una sinèddoche dell’esistenza, laddove la parte esprime un tutto assente.
Tra gli “animali umanizzati” in mostra, impera il coniglio lunare Yuètù, presente nella cultura dell’Estremo Oriente, e in particolare quella cinese, sin dal IV secolo a.C. (Coniglio d’oro). Nella leggenda buddista, il coniglio viene premiato per la sua generosità dalla divinità induista Śakra, che disegna la sua sagoma sulla luna per ricordarlo a tutti, mentre nella versione cinese è la dea lunare Chang’è che lo trasporta sulla luna, dove Yuètù pesta l’elisir di lunga vita. Ancora oggi in Estremo Oriente il coniglio lunare viene intravisto e osservato sulla superficie del satellite per il fenomeno di pareidolia al plenilunio.
La mostra è accompagnata da “Sinèddoche”, una raccolta di poesie che Angela Maria Piga definisce “sonore”, dove la parola esprime un proprio ritmo coreografico mentale e musicale al contempo. La stessa prospettiva di “incompiutezza” ha spinto l’artista ad invertire i ruoli e intervistare lei stessa il critico Ludovico Pratesi, in una originale “intravista” inserita nella pubblicazione.