Dal 5 maggio al 18 giugno 2022, in mostra le sculture dell’artista tedesca Janine von Thüngen e i dipinti dell’artista iraniana Leila Vismeh, di cui la galleria ha ospitato in passato le rispettive personali.
Una madre per la Terra. Un titolo, che a ripeterlo a voce alta, par di udire un accorato appello, un’urgente richiesta di primaria tutela. La mostra, invero, nasce ancor prima dei drammatici eventi tutt’ora in corso in Ucraina; tuttavia, l’attualità aggiunge – o forse fa semplicemente emergere – un senso altro, una nuova intenzione: la rappresentazione della negazione della Guerra.
What if? E se per mezzo del potente linguaggio artistico mettessimo in scena un’alternativa e attraverso la ricca morbida sinuosità dei corpi femminili nudi modellati da von Thüngen ritrovassimo un profondo senso di pienezza, fecondità, abbondanza? Se potessimo affermare la vita – e la sua implicita cura – ispirati dalle Maternità dipinte con generosità cromatica dalla Vismeh? Quanto spaventa salutare oggi quel passato presente che sostiene il contrario, salutare “quel clan” e affermare: “io sono diversƏ”?
Scrive Isabella Ducrot a proposito delle sculture di von Thüngen: “[…] occupano lo spazio come dei punti interrogativi, che con ostinazione stanno a sollecitare risposte, e anche a voler rischiare che esse non siano rassicuranti. […] Appare così lampante e anche accattivante che in ognuna di queste statue, di piccole o grandi dimensioni, convivono caratteri opposti, sono femmine spavalde, creature ormai liberate, prive di allusioni a divinità edeniche, per niente sacrali […]. Pur esibendo attitudini sicure e determinate a queste donne immaginate dall’artista manca la testa. Non sembra che abbiano perso la testa, ma che non l’abbiano mai avuta.”
La stessa sottrazione si ritrova nelle figure senza volto dipinte da Leila Vismeh. Osserva Margareth Dorigatti: “Se è vero che la vita è lotta e alternanza tra i contrari, allora polemos (guerra) diventa ciò che è perché non è il suo contrario e allora, come sosteneva Spinoza, ogni determinazione è negazione. Quando costruisce attentamente la figura anatomica femminile, sola, oppure con una creatura umana tra le braccia, Leila Vismeh dichiara la sua visione analitica, la quale, con gesto veloce e sicuro lascia entrare l’emozione che cancella e diventa censura. Il gesto creativo della cancellazione unisce nell’atto in cui divide e diventa nuova armonia.”
E alla eventuale domanda da parte delle donne del futuro: “Donne, chi erano costoro?” ci saranno risposte a noi oggi non concesse, tanto misterioso è l’enigma del nostro tempo presente. Non possiamo sapere oggi come eravamo. [Isabella Ducrot, 31 marzo 2022]
Selezione opere
Gallery
Testo critico
Donna, chi era costei?
di Isabella Ducrot
Alla Galleria di Maja Arte Contemporanea, si inaugura una esposizione di recenti sculture di Janine von Thüngen che per il suo carattere di attualità, anzi di urgenza, acquista dei meriti aggiunti al consueto vitale valore artistico del suo lavoro d’artista. Non è una mostra come le altre a causa del momento storico in cui queste opere vengono offerte al pubblico. C’è una coincidenza significativa. Da una parte una galleria d’arte contemporanea espone in una tranquilla strada romana esuberanti nudi di corpi femminili e fuori, ai margini dell’ Europa, accade ciò che possiamo definire in modo spicciativo “la guerra”. La novità è che per la prima volta la guerra è uno spettacolo godibile in tempo reale dai luoghi dove la guerra non c’è.
E neanche era previsto che questa mostra acquistasse all’improvviso un merito aggiunto carico di significati e che le domande si accavallino urgenti, per esempio come può una società di donne liberate (artiste) considerare ancora la guerra come un evento inevitabile per tradizione “una cosa da uomini”?
Rivolgiamoci meno distrattamente a queste sculture di Janine von Thüngen: sono infatti corpi nudi femminili, composti di materiali diversi che occupano lo spazio come dei punti interrogativi, che con ostinazione stanno a sollecitare risposte, e anche a voler rischiare che esse non siano rassicuranti. Sembrano esporsi a chiedere chiarimenti che implicano un comune stato d’animo, patito da tutti oggi. L’Oggi diventa un tempo più presente del solito, e probabilmente solo in futuro potrà essere descritto nella sua piena incandescenza. Forse l’Oggi odierno, non è tempo di risposte, impotenti come sembriamo rispetto all’impatto delle nuove e improvvise realtà che tutti, uomini e donne, subiamo. E di nuovo, però, c’è da chiedersi: “Come viviamo ‘noi donne’ il turbamento rispetto all’attuale presupposto stato di normalità?”. Queste sculture possono suggerire che in futuro ancora lontano donne nuove potranno rintracciare la classica formula interrogativa per domandare: “Le donne, chi erano costoro?”.
L’artista non può non essere consapevole di tutto questo, ciononostante non sembra preoccupata di rispondere in modo sensato. “Ma domandatelo a loro!“. Loro sarebbero le sue opere d’arte, loro dovrebbero sapere e loro ora interroghiamo. Sono esplicitamente femminili, ma non del tutto. A quei corpi esuberanti manca sempre qualcosa, oppure qualche cosa è aggiunto, un accenno all’organo maschile, a volte manca il capo, anzi sempre; poi in una scultura c’è una enfasi tutta speciale nella rappresentazione del seno, la parte femminile più evidente, una ha tre mammelle, ci fa sognare e annunzia “ce ne è per tutti, e anche un po’ di più” e anche sembra suggerire che il potenziale nutritivo del corpo femminile non bisognerebbe mai trascurarlo.
Appare così lampante e anche accattivante che in ognuna di queste statue, di piccole o grandi dimensioni, convivono caratteri opposti, sono femmine spavalde, creature ormai liberate, prive di allusioni a divinità edeniche, per niente sacrali, simili piuttosto a certe ragazzone sfrontate e indifferenti che negli autobus affollati delle estati cittadine ne ingombrano lo spazio compresso con i loro volumi statuari che gli abiti leggeri, riescono a mala pena a contenere. Pur esibendo attitudini sicure e determinate a queste donne immaginate dall’artista manca la testa. Non sembra che abbiano perso la testa, ma che non l’abbiano mai avuta.
E alla eventuale domanda da parte delle donne del futuro: “Donne, chi erano costoro?” ci saranno risposte a noi oggi non concesse, tanto misterioso è l’enigma del nostro tempo presente. Non possiamo sapere oggi come eravamo.
Una madre per la Terra
di Margareth Dorigatti
Fin dalla preistoria la figura femminile, in quanto capace di dare la vita, è stata oggetto di venerazione e di rappresentazione. In alcuni casi i riti e i miti erano focalizzati a rappresentare il simbolismo della fecondità, sia come divinità che come creatura umana portatrice di vita.
La Storia, forte della narrazione mitologica, continuerà a legare il proprio immaginario della maternità, prima ad alcune divinità femminili e poi, con l’avvento del Cristianesimo alla figura della Maria con il figlio bambino in braccio, poi con lo stesso figlio adulto morto in grembo. Due immagini fortissime, impossibili da ignorare. Quando Maria diventerà la Madonna ritornerà ad assomigliare alle Dee vergini della mitologia greco-romana: indipendenti, solitarie, potenti.
Sono consapevole che la Vismeh non vuole far entrare la tematica della GUERRA nel suo lavoro pittorico e tuttavia, forse condizionata anche dal momento storico che stiamo vivendo, mi diventa difficile non associare alcune immagini, che meglio di tante altre frettolosamente postate sui “social”, all’ansiosa urgenza di protezione, alla fretta di fuggire, di mettersi in salvo. Abbiamo davanti agli occhi molte donne, giovani e anziane, molto spesso insieme ai loro bambini e guardando i dipinti di Leila Vismeh rifletto ancora su Afrodite, Athene, Artemide, Madonna – Maria ecc. , ma il passo da quelle figure alle donne immaginate e viste nei media oggi in Ucraina è breve e l’associazione immediata.
La pittura di Leila Vismeh è capace di emozionare, di suscitare curiosità, di cercare di capire il come è stata realizzata, oltre al “cosa” vuole esprimere. Se è vero che la vita è lotta e alternanza tra i contrari, allora polemos (guerra) diventa ciò che è perché non è il suo contrario e allora, come sosteneva Spinoza, “ogni determinazione è negazione”. Quando Leila Vismeh costruisce attentamente la figura anatomica femminile, sola, oppure con una creatura umana tra le braccia, dichiara la sua visione analitica, la quale, con gesto veloce e sicuro lascia entrare l’emozione che cancella e diventa censura. Il gesto creativo della cancellazione unisce nell’atto in cui divide e diventa nuova armonia. Ed è proprio qui che le figure incominciano una nuova vita, da un lato l’esistenza del dipinto stesso, unico e irripetibile e dall’altro l’energia che esso sarà capace di emanare, indipendentemente da chi lo vedrà.